La “concrete art” di Mario Loprete

di Vittorio POLITANO

Mario Loprete nasce nel 1968 a Catanzaro, dove attualmente vi risiede e lavora. Artisticamente ha avuto una formazione da autodidatta, assecondando la sua passione per l’arte praticando l’atelier di un artista da cui ha appreso i rudimenti del mestiere, la tecnica e la capacità di saper scrutare la realtà che ci circonda. Poi si laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e grazie agli studi accademici, la sua capacità pittorica si evolve in un modo del tutto personale. Fino al 1998, il lavoro artistico di Loprete è eclettico e trasversale, caratterizzato dalla sperimentazione di diverse tecniche che lo colloca fuori da canoni definiti, poi il suo fare arte, lo porta ad una sperimentazione materica tra diversi supporti, gesso, resina e la pittura a olio, fino agiungere all’uso del cemento proponendolo a suo materiale distintivo. Rimane pur tuttavia, fedele almezzo espressivo che identifica nella tradizione tecnica un valore invalicabile dallo sguardo storico della percezione e comunque, l’artista inserisce parimenti questo elemento extra-pittorico, dapprima come mera preparazione delle tele, poi come pigmento atto apitturare e per poi addivenire alla realizzazione di una sequela di installazioni.

Bonnot olio su tavola 32 x 86

Le sue sculture in cemento nascono dopo la visione di un documentario sulle macerie dell’11 Settembre. La vista di quegli uomini e di quelle donne superstiti dalla tragedia, ma ricoperti da quella patina di cemento, da quella polvere grigia attaccata addosso a renderle uguali ai corpi dell’eruzione di Pompei.
L’opera “Concrete”, dall’effetto vigoroso visivo, mette assieme una serie di cornici prodotte con il cemento armato, fino a farle perdere in definizione e particolari, diventando un blocco anonimo di cemento grezzo, tale da svelarsi in tematiche connesse al ricordo, alla sicura dissolvenza della memoria e al defluireinesorabile del tempo.
Il lavoro di Loprete nelle sue varie conformazioni, evidenzia tematiche sociali, come nel ciclo “Black”, dove si ripropone l’obiettivo di esaltare la cultura underground a movimento vs il disagio giovanile. L’impiego del cemento, divenuto l’elemento caratterizzante di un “non bello” che opprime e sovraccarica le città, contemporaneamente però è il supporto più impiegato da quella stessa cultura underground cara all’artista e da esso individuata come la più attuale arte popolare.

Mario Loprete rispondendo a quell’antico bisogno fisiologico di lavorare quotidianamente alle sue tele in laboratorio, s’immerge nel suo lavoro ascoltando concentrato e rapito, la musica rap e hip-hop. Sono proprio queste sue passioni musicali che lo hanno fatto avvicinare alla cultura underground, facendogli anche scegliere i soggetti per le sue tele tra i cantanti, i ballerini e le stars di quel genere tipologico così prossimo ai murales ealla street art.
Mario Loprete nella sua pittura,sceglie di rappresentare solo soggetti neri e di comunità particolari come quella dei grandi centri urbani statunitensi, di primo acchito, la visione delle figure rappresentate non lasciano distaccati. Quello che è celato sotto una pittura figurativa ben fatta, curata, raffinata ma anche decisamente tradizionale, affiora in modo prepotente, a dimostrazione della perfettaconoscenza dell’artista di tutte le possibilità comunicative dell’immagine e del suo uso disinvolto da divulgatore mediaticoevoluto.
Con la sua ricerca sperimentale, egli si oppone intenzionalmente alla cultura tradizionale e ufficiale, utilizzando forme espressive e sistemi di diffusione e di produzione alternativi rispetto a quelli usuali. Un lavoro il suo, caratterizzato da un esasperato sperimentalismo e da un atteggiamento ideologico di trasgressione. La sua arte s’impregna d’hip hop americano e cerca punti di riferimento iconografici con il mondo dei giovani italiani avvertitie attenti nell’assorbire supposti principi ispiratori dallo stereotipo statunitense. Pur non utilizzando la vernice spray o la rielaborazione dei caratteri tipica dei writers, la sua ricerca s’identifica comunque in quel modo di pensare e di vedere di una generazione in accrescimento. L’arte non si limita cosìa esseredisegnata, dipinta e scolpita.
Nella creazione della serie “WORDS”, l’arte visiva di Loprete, è anche scritta, il lettering è stato da lui costruito in forme tridimensionali di cemento assemblandole in un mosaico di parole, di vocaboli. La lettera si discosta così dalla pura estetica, dall’essere unicamente “significante” e recupera invece il suo essere “significato”, proprio perché nell’assemblaggio è parte integrante di un senso compiuto, di un messaggio specifico rivolto al fruitore/lettore.
Il cemento di Loprete è speciale, è “armato” dalla sua memoria, dapprima viene usato come supporto su cui apporre le immagini dei personaggi scelti da lui, poi progressivamente e man mano che l’artista ne saggia le caratteristiche pratiche, nascono simultaneamente delle sculture in serie, oggetti ed abiti sistemati su parete o sparsi nello spazio rispondendo così anche alla necessità impellente dell’autore di superare la bidimensionalità della tela e tracimare da essa.

Nella sequela “CONCRETE SCULPTURES”, parimenti all’irrompere della terza dimensione si cerca di far corrispondere l’inserimento di concretezza oggettiva nell’opera.
Anzi la realtà diviene essa stessa opera, anche tramite la componente di tempo e di memoria intrinseca agli oggetti cementificati, spesso anche personali e di uso quotidiano.
L’oggetto industriale, fissato per la sua riproducibilità e per la sua funzionedefinita, tramite l’atto creativo dell’artista entra nell’ordinamento di autenticità estetica.Tutto quanto è stato ripreso e affidato al rito ancestrale dell’Athanor di Loprete che dipinge ogni oggetto meticolosamente con gli stessi gesti e l’amorevole cura riservata ai ritratti più cari, il cemento ferma le cose, ingloba gli oggetti in una corazza dura e grigia e li trasforma in possibili reperti della contemporaneità, richiamando così alla mente il ready-made modificato di Marcel Duchamp.
Le due anime di Mario Loprete, una antica e una contemporanea, si riflettono nella “concrete art” e si lasciano contaminare dal contributo di artisti, musicisti, critici, ecc.lasciando alloro estro specifico, ampia libertà d’interpretazione.
Nella serie denominata “FUCKOVID” Loprete, rimandando al dramma pandemico da covid, usa delle mascherine chirurgiche ricoperte di cemento e smalto alchidico e al loro interno, raffigura delle sagome in rosso a rimembrare il colore con cui erano raffigurati i cherubini nell’arte paleocristiana.
Esiste un luogo non fisico in cui l’astratto si unisce alla materia generando un’idea palpabile, concreta. L’essenza dell’arte è questa, provoca cioè un sentimento, ma anche ciò che favorisce la nascita di un concetto, di un’idea.
Le sue creazioni vogliono essere un intreccio di passato e di presente, di futuro e di speranza, di concretezza e spiritualità. Vogliono essere una preghiera, un canto di lode, una testimonianza alla capacità di sognare inerpicandosi e sollevandosi percorrendo le umane tappe che portano al cielo. L’opera fondamentale dell’istallazione “IN CEMENTO VERITAS”, è un lungo filo di panni appesi cementati, composta da camici, abbigliamenti medici, mascherine e così via, sculture in cemento alla guisa di reperti archeologici post-urbani, a lanciare un grido di aiuto, un anelito etnico, religioso, di risorsa culturale umana e vitale, la libertà.