di Antonio IANNICELLI
Chi colleziona santini, immaginette devozionali particolarmente antiche, spesso si imbatte in santi conosciuti sia dal punto di vista devozionale che iconografico. Molti di questi, di origine romana, fanno parte dei martiri del periodo precostantiniano, la cui imposizione del nome è difficile trovare in tempi moderni, tanto più che col rinnovo del calendario religioso-liturgico, dopo il Concilio Vaticano II, molti sono scomparsi dalla memoria collettiva.
I calendari utilizzati, prima che si diffondessero quelli annuali, erano perpetui, cioè adattabili a tutti gli anni per via di calcoli appropriati e contenevano le feste fisse, i segni zodiacali ed altri dati invariabili. Poi, con l’avvento della stampa a caratteri mobili, si incominciarono a divulgare gli almanacchi e con questi, particolari calendari ad un solo foglio dove, a guadagno di spesa, venivano riportate le festività più importanti di ogni mese con la riproduzione iconografica dei principali santi festeggiati.
Nella tavola sopra riportata, vengono indicate le principali festività di dicembre, precisamente la pagina 1096 de “Le vie des Saints”, opera edita a Parigi tra la fine del 1600, con varie edizioni molto simili tra loro fino al 1740. Si tratta di un’incisione su rame di fine XVII secolo dove sono raffigurati i santi principali festeggiati nel mese di riferimento. In ogni cornice, sotto il nome del santo, viene riportato il giorno della ricorrenza della festività.
L’opera citata, per come riferisce il mio amico collezionista Flavio Cammarano, autore, tra l’altro, di una pregevole pubblicazione sui santini parigini [Flavio Cammarano-Aldo Florian, Santini e storia di un editore parigino Maison Bouasse-Lebel, Marene, 2009], solitamente consta in due volumi, di circa 550 pagine cadauno, e riporta nel primo, i santi dei primi sei mesi del calendario; nel secondo quelli da giugno a dicembre. Ciascun volume contiene sei fogli incisi, uno per ogni mese.
Volendo trattare l’argomento “Santi poco noti” e perciò non riportati negli attuali calendari, di recente, mi è capitato di acquistare presso una libreria antiquaria di Pisa, due libricini di fine Settecento, di circa settanta pagine cadauno, contenenti le festività dei santi la cui ricorrenza cadeva nei mesi di novembre e dicembre. Tra questi santi ve ne sono alcuni scarsamente noti o nient’affatto, la cui litografia in bianco e nero, di produzione ignota, ma certamente italiana, misura il formato mm. 70×120. Interessanti le notizie agiografiche riportate nel testo con l’iconografia ricca di simboli e di riferimenti.
Tra i santi che hanno destato curiosità ed interesse, riporto Santa Serva e San Servolo le cui festività ricorrevano rispettivamente il 17 ed il 19 dicembre.
L’agiografia di Santa Serva riporta che presso gli Iberi viveva una schiava, fedele e puntuale al servizio dei suoi padroni. Passava intere notti in adorazione esercitandosi in continui digiuni. A chi le chiedeva spiegazioni sull’austerità della vita che conduceva ella rispondeva: “per far piacere così a Gesù Cristo, mio Dio”.
Quando si ammalava un fanciullo presso quei popoli, vi era la costumanza di portare l’infermo di casa in casa perché si potesse trovare rimedio con qualche medicamento. Un giorno, una madre portò il proprio figlio anche presso la casa ove la schiava prestava servizio. Chiese aiuto e la serva dopo averle riferito che poneva le sue speranze in Gesù Cristo, suo Dio, il solo che poteva guarire da qualsiasi infermità, prese il fanciullo e coricatolo sopra il cilicio che formava il letto, recitò una breve orazione al termine della quale restituì il fanciullo sano alla madre.
Il prodigio si divulgò in brevissimo tempo per tutta la città e poiché anche la regina si trovava ammalata ed in pericolo di vita, si fece portare alla casa della schiava. Questa dopo l’invocazione sull’inferma dell’intervento di Gesù Cristo, fece si che si alzasse completamente guarita da ogni infermità. Il re, venuto a conoscenza di questi prodigi, ne informò l’imperatore Costantino. Furono inviati Vescovi e Sacerdoti per l’esercizio dei divini misteri e così per mezzo di una schiva, che dalla Chiesa venne venerata col nome di Serva, si stabilì il culto del vero Dio tra i popoli Iberi.
L’agiografia di San Servolo ci riporta ai tempi di San Gregorio Magro, allorquando un povero paralitico giaceva notte e giorno sotto il portico della chiesa di San Clemente in Roma. Impossibilitato a muoversi fin dalla sua infanzia, si sosteneva con le elemosine dei fedeli e quello che le sopravanzava lo distribuiva agli altri poveri. Le sue opere di bene erano note a tutti.
Spesso si faceva leggere la Sacra Scrittura e appresi a memoria i salmi, passava i giorni e le notti nella recita dei medesimi. Quando sentì vicino il tempo destinatogli da Dio, chiamò presso di sé coloro che lo visitavano giornalmente perché potessero recitare i salmi intorno al letto, fintanto che avesse reso l’anima a Dio.
Venne sepolto in quella che era stata la sua casa per tutta la vita: la chiesa di San Clemente ove una lapide attesta la storia della sua vita e dei suoi meriti: Questo paralitico condanna col suo esempio la condotta di coloro i quali, dotati d’un buon capitale di averi e di sanità, non fanno opere buone, né sopportano con pazienza gli accidenti della vita umana.
Con la commemorazione di questi due Santi, ultimi nella vita terrena, la Chiesa del tempo volle confermare l’insegnamento del figlio di Dio: larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione; stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita eterna.
Una festività sconosciuta
Tra le festività non più ricordate mi ha colpito l’Espettazione del Parto che si festeggiava il 18 dicembre e riguardava l’attesa del Divin Bambino. Con questa festa la Chiesa istituiva la preparazione settimanale alla solennità del Natale: l’arrivo del Salvatore del mondo.
Il santino riprodotto mi porta a fare alcune considerazioni: Maria in lingua aramaica significa donna e non è un caso che la fanciulla di Nazaret, salutata dall’Arcangelo, si chiamasse Maria. Gabriele davanti a Lei ha pronunciato parole che potevano essere rivolte solo a Lei, Predestinata dal Signore. Appellandola “benedetta fra le donne”, l’aveva differenziata dalle altre e, rivelandoLe “tu avrai del bene più di ogni altra donna al mondo”, Le aveva preannunciato un destino straordinario anche se condizionato da rinunce.
Maria era la fidanzata di Giuseppe. Il sogno di ogni fanciulla innamorata è di portare in grembo il frutto della sua unione con l’uomo amato. L’angelo del Signore Le annunciava un figlio, ma non di Giuseppe né di alcun altro uomo. L’incredibile destino faceva tramontare il Suo sogno.
Eppure Maria, udito quello che di Lei aveva disposto il Signore, è pronta a rispondere: “ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la Sua Parola”. E così, rispettando la volontà del Signore, Maria ha rinunciato ai suoi diritti di sposa e perfino ai suoi diritti di madre.
Quindi quale santa impazienza doveva vivere Maria, nello spazio degli otto giorni che precedevano la nascita del Divin Figlio? Con quale ardore avrà sospirato quel momento felice nel quale doveva dare alla luce del Mondo un Figliuolo che ben sapeva essere il Suo Salvatore, il Suo Dio, la gioia dell’Universo, l’oggetto dei desideri di tutte le nazioni e la salute di tutti gli uomini?
Non vi è alcuno che dubiti avere la Vergine trascorso questi otto giorni in trasporti d’amore, in accesi desideri ed in una contemplazione continua delle meraviglie contenute nel mistero dell’incarnazione e della nascita del Messia.
Nell’iconografia del santino riportato, a dire il vero inconsueta, la Madonna viene rappresentata nell’intimità che precede l’evento Divino, con le vesti smosse, con una mano sul cuore e con il viso rivolto verso l’Altissimo, intenta ad implorare il Suo aiuto.
Qui Maria, appartata in un angolo della stalla, accovacciata su un sedile, a mio avviso viene dall’incisore paragonata ad una comune donna, ad una qualsiasi donna che affronta un travaglio, come si faceva una volta sulla sedia gestatoria.
La particolarità della rappresentazione poi, mostra l’imminenza dell’Evento nel luogo destinato. L’attesa è documentata dal bue e dall’asinello che si intravedono in fondo alla stalla, pronti a riscaldare il Divin Bambino con Giuseppe, padre putativo, presente al parto, che indica il luogo dove andare a deporre il Messia.
Io penso che l’incisore, attraverso l’immagine-rappresentazione, aveva la necessità di comunicare l’Evento Divino soprattutto ad un pubblico di estrazione popolare, non colto che, anche se accettava la predestinazione di Maria, difficilmente avrebbe potuto comprendere il Mistero di Maria, madre di Dio, prima ancora della nascita del Salvatore del Mondo, del Redentore dell’Umanità. Infatti, Maria diventa madre di Dio nel momento in cui accetta di diventarlo, quando alle parole di Gabriele risponde: “Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la Sua parola”.
La Sua, indubbiamente, è stata una scelta. Una scelta difficile, ma comunque libera.
Molto probabilmente queste sono solo le considerazioni di un collezionista di immagini sacre, ma indubbiamente dalle sensazioni che ciascuno può ricevere dall’incisione riprodotta, non usuale, l’obbedienza di Maria, il silenzio di Maria, il coraggio di Maria vengono celebrati ogni qualvolta il credente pregando ripete le parole di Gabriele: “benedetta tu sei tra le donne”.
La Ciminiera Dicembre 2021