2004 novembre 26 – Nel cassetto delle memorie 03 – Luigi Polistena (Mileto)

Nel cassetto delle memorie 03 – Mileto (VV)

Fra passato e presente Le rime di Luigi Polistena

 

...AL FUOCO DELL’AMOR CHE LUI VI ACCESE… UNA TESTIMONIANZA

di Don FILIPPO RAIMONDINO

Apprezziamo con gratitudine l’iniziativa da parte del Centro Studi Bruttium e del suo presidente prof. Pasquale Natali di ricordare il poeta di Mileto (VV) Luigi Polistena, scomparso 10 anni fa. Ancora più significativa è la scelta del luogo per questa attesa e desiderata rievocazione da parte di tutti noi che lo abbiamo conosciuto e stimato: il Seminario diocesano, culla della sua prima formazione, verso il quale conservò sempre una profonda riconoscenza e una sincera devozione.

Sono stato invitato, per esprimere la mia testimonianza su Luigi Polistena. Ebbi modo di conoscerlo già nei miei anni ginnasiali qui a Mileto, era famoso come poeta, anzi il poeta Luigi Polistena, con lui “gareggiava” amichevolmente, soprattutto nella poesia dialettale, il nostro mons. Vito Truglia di v.m. Per la curiosità dei piccoli e dei ragazzi, il poeta nasconde in sé qualcosa di misterioso e suscita un certo fascino. Pensavo ai silenzi necessari per un poeta, alla fatica del suo pensare, per raccogliere tutto con arte nei versi. Il cav. Luigi Polistena spesso ci faceva dono di alcune immaginette sacre dove nel retro era stampata qualche sua poesia religiosa.

Rividi più frequentemente Luigi Polistena quando iniziai il mio ministero sacerdotale, per lo più esercitato a Mileto. Veniva frequentemente a trovarmi nel mio ufficio in Curia per portarmi copia di qualche sua nuova creazione poetica, per parlarmi del Manzoni o di argomenti religiosi che gli stavano a cuore, per confessarsi e, altre, per confidarsi amichevolmente. Lo ricordo dietro l’inginocchiatoio, sull’altare della cappella di Casa Serena, dove, mentre io come cappellano celebravo la santa messa, lui mi assisteva leggendo le letture. Gli sono grato per i buoni sentimenti che nutriva per me, per gli incoraggiamenti che ha saputo darmi, per i ricordi storici che ha avuto fiducia di comunicarmi. Ho presente nella memoria quando, qualche volta, facendogli visita nella sua casa mi parlava con venerazione, facendomi osservare le foto, del compianto padre Antonino Albanese, canonico penitenziere, sacerdote ricco di virtù; e di mons. Enrico Nicodemo, il consul Dei, vescovo di Mileto e poi arcivescovo di Bari, due figure del clero che aveva particolarmente amato e stimato.

Da quanto detto si comprende bene che la vita di Luigi Polistena si è intessuta essenzialmente intorno a quell’Amor che muove il sole e l’altre stelle, e che ha mosso il suo cuore, fin da piccolo, dentro le coordinate di quella spiritualità cristiana dolcemente trasmessa dalla madre e approfondita in una formazione culturale che fu permanente nella sua esistenza.

Ci viene subito spontaneo, dunque, dire che la sua vita fu, anzitutto, uno spontaneo e genuino amore a Cristo. Il Dio umanato efficacemente espresso in un verso di Ungaretti: “Cristo, pensoso palpito, astro incarnato nell’umane tenebre, fratello che t’immoli perennemente per riedificare umanamente l’uomo”. Mai vide l’uomo senza Cristo, mai pensò Cristo senza l’uomo. C’era in lui una sentita attenzione al sentimento religioso, che, per esempio, aveva la sua più alta espressione nelle manifestazioni del Natale. Penso alla sua passione per il presepio e alla sua vena poetica “natalizia”. C’era in lui una intellettuale e intima preferenza per un cattolicesimo tradizionale, che assicurava quei punti fermi della dottrina e della morale, per orientare gli animi nello smarrimento dei nostri tempi. Si ricollegava idealmente al suo rinomato e culturalmente fecondo concittadino il barone Nicola Taccone Gallucci, facendo tesoro della sua opera, edita nel 1881, L’Uomo  Dio. Studi filosofico estetici.

Insieme a Cristo il suo soprannaturale amore era tutto acceso per la Vergine Maria. Uno dei suoi primi scritti elencati nelle note biografiche è un volumetto intitolato L’Immacolata Concezione, pubblicato in occasione del centenario del dogma, quindi nel 1954. Noi stiamo rievocando la sua figura, quest’anno che ricorre il 150° anniversario della proclamazione del dogma, è una bella coincidenza e, forse, possiamo considerarlo un dono che la mamma celeste ha voluto elargire a questo suo figlio devoto. Polistena ha avuto un legame tutto particolare con la Madonna. Raccontava di essere stato miracolato in tenera età, grazie alla preghiera della madre alla Madonna della Guardia. L’olio della lampada mariana lo salvò da una pericolosa malattia. A Maria dedicò una cappellina nella periferia di Mileto, e nella sua casa, in una stanza divenuta il suo oratorio domestico, troneggiava una bella statua della Madonna della Guardia. Lì si raccoglieva quotidianamente con sua moglie, puntualmente, per le preghiere, anzitutto la recita del rosario. Zelò la devozione alla Madonna di Pompei, la cui immagine ben incorniciata si prodigava di fornire alle chiese sprovviste. La prima parte de I canti dell’anima (1977) sono un florilegio a Maria Santissima, altre in vernacolo hanno un trasporto che coinvolge: “Madonna bella, peddaveru bella, china di suli e china di surrisu, tu si la vera, eternamente, o stella, divina chiavi di lu paradisu“.

Da questi amori riposanti per la sua anima, che non lo rendono né esaltato, né bigotto, nasce un casto amore alla famiglia. Si vedeva ancora nei suoi occhi di persona anziana, quando ne parlava, l’ intenso amore filiale verso la sua vecchia e dolcissima madre. Amore che poi si dona con tutta la generosità e le premure di padre ai suoi figli Salvatore e Maria Rosaria, di nonno ai suoi diletti nipoti, di sposo alla moglie Immacolata che in una dedica definisce “compagna tenerissima e ottima madre dei miei figli“, donna buona e mite. Ora, insieme alla figlia Maria Rosaria prematuramente scomparsa qualche anno fa, riposano con lui nella pace eterna. La famiglia fu certamente la sua più grande soddisfazione e realizzazione: compensò quell’affetto e quel calore, provato da tante rinunce e sacrifici che lui da piccolo, orfano, solo con la madre, dovette affrontare e subire. Compreso, forse, quella più dura, l’impossibilità dopo i primi studi a proseguire per il sacerdozio. Scrive in una poesia: “non fu mia colpa se non ascesi all’ara ove il Gran Dio s’immola“. Luigi Polistena esercitò però ampiamente il suo sacerdozio battesimale nel servizio alla sua famiglia, rendendola una vera piccola chiesa domestica.

Se ci fu un altro amore prioritario nella vita di Luigi Polistena, questo, indubbiamente, fu per la sua Mileto. Qui si aprirebbe un lungo capitolo. Dico solamente che Polistena fu un vero miletese, cantore delle antiche glorie normanne della sua città, geloso custode delle tradizioni e della identità socio culturale di Mileto come città episcopale. Come è nell’indole di chi ama la memoria della storia patria, Luigi Polistena si adoperò per la salvaguardia, il recupero, la conservazione di resti e vestigia del “caro, dolce e pio passato“. Ma, soprattutto, mi sembra la sua passione, il suo essere radicato nell’ambiente, lo portò a intuire la necessità di farsi, in senso positivo, “conservatore”, custode di una identità e di memorie di vita quotidiana, di episodi di umanità e laboriosità, che il divenire della storia, interpretata ideologicamente, non considera nel loro giusto valore. E’ suo il merito della collocazione delle due grandi lapidi commemorative sulla porta del palazzo comunale (e, credo, anche suo il testo), dedicate a Ruggero d’Altavilla e al barone Nicola Taccone Gallucci.

Questi amori, ovviamente, pur vissuti con tutto il sentimento religioso e lo sforzo di vivere le virtù cristiane non erano esenti dalle umane debolezze a cui ogni mortale èsoggetto. Questi amori, forse, proprio perché vissuti con ardore e ardimento, non escludevano disamori, intolleranze e, a volte, intemperanze dovute al suo carattere adamantino e passionale, prese di posizione simpatiche ad alcuni antipatiche ad altri. Questo per dire che Luigi Polistena è stato un uomo che per molti anni ha fatto sentire la sua presenza in questa nostra città, lasciando un segno di indelebile passione civica e di convinta testimonianza cristiana.

Ho bisogno di Te, Signore! Cantava in una sua poesia edita nel 1977, testimoniando questo bisogno esistenziale di tutti noi, questa urgenza di Dio nei nostri giorni bui e indifferenti. E’ stato il grido spirituale dei suoi ultimi giorni: “resta con noi, Signore“! Il 12 maggio 1994, il mese caro alla Madonna, si addormentò nel sonno della morte invocando il Signore che dà vita, ripetendo le parole dell’antico inno: “veni, Creato r Spiritus, mentes tuorum visita…”.

Mileto, 26 novembre 2004


LUIGI POLISTENA : Poeta delle radici e della sofferenza

di Pino Calzone

Ho conosciuto Luigi Polistena ed ero legatao ai suoi figli da vera amicizia (abitavamo poco distanti l’uno dall’altro), una di quelle amicizie che non hanno bisogno di eccessive frequentazioni o futili convenevoli per rinsaldarsi, perché fondate sul rispetto reciproco, sulla lealtà, su affinità umane prima che culturali. Il figlio Salvatore vive in Toscana, a Pisa, con la famiglia ed é un apprezzato pittore, la figlia, che abitava nella stessa via ove io abito, é mancata prematuramente all’affetto del marito e dei suoi figli.

Verso Luigi Polistena nutrivo un rispetto e un quasi timore reverenziale : la mia giovane età avvertiva l’autorevolezza e insieme la bonarietà di quell’uomo che mi accoglieva nella sua casa per mostrarmi a volte reperti dell’antica Mileto, che poi donò al Museo statale di Mileto, e qualche volta per leggemi una sua lirica. Ma ero troppo lontano, per l’età dai suoi interessi, perché potessi comprenderlo appieno e potessi far tesoro dei suoi insegnamenti.

Ed anche la cittadinanza di Mileto era, forse, lontana; é il caso di ripetere il detto latino: Nemo profeta in patria, in ciò egli condivide il destino di alcuni grandi: essere apprezzato dopo la morte. (Canti pag. 167).

La vita del Polistena è segnata da un evento che ha lasciato una traccia indelebile nei suo cuore: la partenza del padre, emigrato, e il conseguente legame indissolubile con la madre (pag.l7 VINA PAJSANA). Il bambino cresce, diventa adolescente e poi adulto, ma la ferita non si é rimarginata, la sofferenza trova conforto nello scorrere della penna sulla carta. I ricordi, gli affetti, i sentimenti si cristallizzano (imprigionati) nelle forme rigide della poesia (pag.9 REMINISCENZE).

La sofferenza e la fugacità della vita; la figura della madre

Quella di Polistena è la poesia del ricordo, dell’infanzia segnata dal dolore, della regressione (ritorno indietro nel tempo) pag.18 VINA PAJSANA

I TEMI della poesia di Polistena sono quelli dei grandi della letteratura italiana: Pascoli, Montale; poeti che hanno percepito la precaria condizione esistenziale dell’uomo. E anch’egli ha coscienza della fugacità del tempo che lascia i suoi segni indelebili: calvizie e  grigiore (REMINISCENZE, pa g 133 ), speranza ed illusione di un domani migliore e poi disillusione (REMINISCENZE, pag140), come per Montale il tempo passa veloce e lascia il suo segno nella carrucola arrugginita che cigola (cigola la carrucola,  Montale). Amara é la riflessione del Polistena sul binomio indissolubile di vita e morte, connesso al fluire del tempo e lo sfiorire della giovinezza (REMINISCENZE Pag. 88); poesia che,  assieme a tante altre, mette in luce la sua levatura culturale con riferimento alla mitologia greca (anche …)

Egli è vicino alla sensibilità del grande poeta Giovanni Pascoli perché unito per alcuni versi dallo stesso destino: il distacco dal padre: dalla morte il Pascoli subì la separazione dal padre, dall’abbandono fu separato dal padre Luigi Polistena. Una separazione che brucia e marchia a fuoco nell’intimo il poeta, che non accettò mai quel distacco (L’urne a petrolio nei CANTI DELL’ANIMA, pag. 152) e non sa farsene una ragione (L’esilio dell’emigrante). Il fanciullo Pascoli ricorda con dolore la morte del padre che non torna più, il fanciullo Luigi Polistena attende invano, mentre la nonna in una sera d’inverno fila con il fuso, che il padre torni.

In Pascoli il distacco ha segnato la vita a tal punto da considerare i cari morti come Numi tutelari della casa che vivono nella memoria (e nell’ora che penso ai miei cari  dal “Gelsomino notturno” ). Per Polistena il distacco dal padre viene colmato dalla presenza della madre, che, pilastro della sua esistenza nel fluire ininterrotto della vita angosciata e straziata è invocata ed attesa dopo la morte come consigliera del suo cuore ch’è in pena, “che anela tuo saggio consiglio” (I CANTI DELL’ANIMA” pag 125).

L’antidoto alla sofferenza, alla drammaticità della vita è il rifugio sotto le ali di Dio, della Madonna, il cui spirituale alone protettivo si confonde, nelle liriche del poeta, con la figura materna, sicché il lettore affanna la mente per comprendere dove sia la madre celeste e dove, invece, la madre terrena. Luigi Polistena è l’uomo di fede che celebra i principi cristiani della religione, dell’armonia, della fratellanza, della pace tra gli uomini (REMINISCENZE Pag. 65).

Ma la poesia di Polistena non è soltanto poesia esistenziale, poesia religiosa (molte sue composizioni guardano a Dio), non è soltanto espressione di un cuore che soffre, è anche piena di contenuti moralie sociali. Temi che realisticarnente egli desume da quella che è la condizione della Calabria, del suo paese, fra la prima e la seconda guerra e mondiale e olre questa (povertà, emigrazione ecc.) L’emigrazione è vista dal poeta in chiave soggettiva come crudele abbandonodel proprio paese e degli affetti da parte di chi se ne va in cerca di fortuna lasciando in pianto moglie e figli. Nell’esilio dell’emigrante (Reminiscenze, pag. 83) è adombrata ancora la sua vicenda personale, la figura del padre che tornò, poi, ma troppo tardi per riavere l’affetto, del figlio.

Le radici come autenticità della vita La poesia di Luigi Polistena è monito per i nipoti, e quindi per le future generazioni, di non dimenticare le proprie radici, di amare la propria terra, anche l’uso della lingua madre, il dialetto, é un invito ad amare tutto ciò che appartiene al paese d’origine (pag.113 REMIN.”A lingua mia”). La sua poesia veicola messaggi semplici ma profondi, ideali e valori che oggi sembra abbiamo dimenticato (affetti, terra, cultura) Remin. Pag. 1 70 “A scola” . Per questo siano onorati di averlo avuto come nostro concittiadino. E siamo grati all’Associazione Bruttiun e a quanti hanno preso l’iniziativa di ricordare la figura dell’uomo e del poeta che merita un posto di riguardo nella letteratura, non solo calabrese.

Mileto, 26 novembre 2004


Don Filippo Raimondino

Pino Calzone

da sinistra: Pino Calzone, Bruna Filippone, Antonio Anzani, Don Filippo Raimondino, Raoul Elia