“L’ingratitudine nel folklore calabrese”

di Domenico CARUSO

Domenico Caruso

Il filosofo cinese Confucio (551-479 a.C.) affermò:

«Non fare del bene, se non hai la forza di sopportare l’ingratitudine».

La morale è ben rappresentata dall’antico scrittore greco Esopo (620-564 a.C.):

Durante l’inverno un vecchio contadino, avendo trovato una serpe intirizzita dal freddo ed avendone compassione, la prese e se la mise in seno.
Il rettile, riscaldandosi e riprendendo la propria natura, uccise quindi il benefattore.
Prima di morire il contadino ammise: «Ho quello che mi merito poiché ho avuto pietà dei malvagi».

L’ingratitudine rivela la grettezza che nasce dall’ignoranza e dalla superbia.
Mossi dall’invidia e dal rancore, spesso provochiamo dolore a chi ci ha procurato del bene. Ai due cattivi sentimenti si associa l’irriconoscenza.
Il filosofo romano Lucio Anneo Seneca (4-65 a.C.) ebbe ad affermare:

«È ingrato chi nega il beneficio ricevuto;
ingrato chi lo dissimula;
più ingrato chi non lo restituisce;
il più ingrato di tutti chi lo dimentica».

Anche i Santi riconobbero il male in questione.
Il presbitero e pedagogo Don Bosco (1815-1888) sostenne:

«Guai a chi lavora aspettando le lodi del mondo: il mondo è un cattivo pagatore e paga sempre con l’ingratitudine».

Ben sapevano i nostri avi come agire per sconfiggere l’ingratitudine. Coltivando la memoria mediante detti e proverbi, evitavano le imboscate dei furfanti.
Ecco, pertanto, alcuni consigli che ci hanno tramandato.

La mancanza di riconoscenza viene espressa anche nelle canzoni, come in “Cuore ’ngrato”, il cui classico testo napoletano fu scritto nel 1911 proprio dal nostro emigrato cosentino Alessandro Sisca:

«Core, core ‘ngrato
t’aie pigliato ‘a vita mia.
Tutt’ è passato
e nun’nce pienze cchiù!».

LA CIMINIRA – MAGGIO 2022