I palmenti

di Silvana FRANCO –

Palmento di Ferruzzano

Dell’età del Ferro potrebbe essere il popolo degli Enotri, che si stanziò in Campania, Basilicata e nella parte settentrionale e tirrenica centrale della Calabria, intorno all’XI secolo a.C.
Gli antichi storici Greci ritennero che tale etnia arrivò dalla Grecia; invece, gli antichi studiosi romani, furono dell’opinione che gli Enotri provenissero dall’Arcadia (regione dell’antica Grecia, nel Peloponneso) nel periodo tra il XV – XII secolo a.C.
Gli Enotri, probabilmente si chiamarono così dal nome del principe dell’Arcadia, Enotro, oppure per le caratteristiche del suolo calabrese che occuparono.
Furono i Greci, che successivamente colonizzarono la Calabria, che denominarono Enotria la zona abitata dagli Enotri. Il termine deriva dal greco “oinòs” che significa vino, infatti la zona da loro occupata era ricca di vigneti. Altra ipotesi è che il nome derivi dal dialetto dorico “oenòtron”, che indica il palo di sostegno della vite.
Parecchie testimonianze della produzione di vino in Calabria ci vengono date dai “palmenti”, vasche che servivano per la produzione del vino, scavate nella roccia, nelle grotte, oppure costruite in muratura.
L’origine di questi palmenti è dibattuta. Secondi alcuni studiosi, risalgono al periodo pre-ellenico, secondo altri, al IV secolo a.C., periodo in cui iniziò la colonizzazione dei Bruzi. Infine, si ipotizza che i palmenti risalgono al periodo romano.
Furono usati fino al periodo bizantino, come attestano le croci incise su alcuni di essi e sulle quali mi soffermerò più avanti, ma alcuni palmenti furono usati dai nostri contadini fino agli anni ’50 – ’60. È difficile stabilire l’esatta origine dei palmenti, in quanto molti furono rimaneggiati. Sono sparsi un po’ su tutto il territorio calabrese. Numerosi si trovano in territorio di Ferruzzano (RC) e Santa Caterina dello Ionio (CZ).
Il termine deriva dal latino “palmes”, tralcio di vite o da “paumentum”, il pigiare.
Il tipico palmento era costituito da due vasche, comunicanti tra loro attraverso un foro: una superiore, dove l’uva veniva pigiata con i piedi o altro, ed una inferiore, dove si raccoglieva il mosto.
Per alcuni giorni si lasciava il mosto, appena pigiato, a riposo nella vasca superiore e il foro comunicante era tappato con dell’argilla. Tale tappo veniva poi rimosso per far scolare il mosto nella vasca inferiore.

La Ciminiera – Aprile 2022