Cesare LOMBROSO “in Calabria”

di GIANO

Senza entrare in polemica sugli studi psicofisici e sulle teorie degli “Stereotipi del criminale” del Lombroso si può leggere il volume “In Calabria” con la curiosità di scoprire il territorio, gli abitanti e le tradizioni del popolo calabrese nel 1863 a ridosso della proclamazione dello Regno d’Italia.
Il volume “In Calabria” è la raccolta delle esperienze vissute, dello scienziato scrittore, in circa novanta giorni al seguito dell’esercito piemontese in missione per debellare il brigantaggio che infestava la regione calabra.
Lo scienziato, in questo scritto, rivela una capacità di osservazione e di analisi alquanto profonda e trascrive con entusiasmo le “bontà” del territorio e il carattere delle sue genti. Non sdegna di trascriverci detti, proverbi, canzoni in voga al momento.
Nel quarto capitolo, che vi trascrivo integralmente, ho trovato molto interessante la nota dei risultati del dipartimento medico militare sulla popolazione calabrese di leva. Questi dati confrontati con l’oggi, rivelano il grado di cambiamento antropometrico che ha subìto la popolazione calabrese in questi 158 anni.
Mi prefiggo di continuare la trascrizione di altri capitoli (se rilevo interesse).

Il 17 marzo del 1861 viene proclama ufficialmente la nascita del Regno d’Italia. Con l’approvazione della legge n. 4761 Vittorio Emanuele II assume per se e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia.

Ma, venendo alle popolazioni proprie delle Calabrie, mi è sembrato dovervi distinguere due tipi speciali. Il Semitico dal cranio doligocefa­lo, dal naso arcuato, a sopracigli ravvicinati ed occhi neri o castani, predomina nella marina, ma non cosi che spesso non venga sopraffatto dal muso prognato, dai capelli neri e crespi e dal derma bronzino del seme Camitico o dal purissimo ovale dei Greci o meglio dalla maschia e nobile impronta Greco-Romana, che è la prevalente, la sola anzi nell’interno. È il tipo dal fronte elevato, ampio, brachice falico, dal naso aquilino, dall’occhio vivace e prominente.
La statura è media, il temperamento bilioso; l’animo fiero, iracondo, testardo, impavido, desideroso di dominio, fino alla prepotenza, amante della lotta, dei piaceri, ma pieno d’intelli­genza, di vita, e di un senso estetico delicatissimo che si rivela nei proverbi e nelle canzoni degne dell’antica Grecia.

Secondo il Livi, (Antropometria militare del Dottor Rodolfo Livi, Roma, 1868), la statura dei Calabresi è decisamente inferiore a quella della media degli Italiani.
Essa risulta inferiore a m. 1,60 nel 50,3% – (Regno 89,4%)
Fra i m. 1,60 e 1, 70 28,5% – ( „ 29,4%)
Superiore ai m. 1, 70 21,2% – ( „ 82,2%)
La statura media è di 1,68, dopo dunque la Basilicata e la Sardegna, inferiore a tutte le altre.
L’indice medio del cranio è di 78, 4 il più dologocefalo salvo la Sardegna (77,5) colla massima doligocefalia a Cosenza 77, 9, e Catanzaro 79, 5, e minima a Reggio 80 a 79 con poca differenza nei paesi albanesi (78).
Quanto al color dei capelli prevalgono i capelli castagni 52,8% – e neri 35%; rari i biondi 4,4%, rarissimi i rossi 0,4%. Frequenti i ricciuti 17% – più che nella media del Regno. Si ha il tipo bruno puro nel 30% – Bruno misto 62% – Biondo puro 1,1% – Biondo misto 4,4%.
In onta adunque della tanta mescolanza con popoli Berberi e Semitici, il tipo Greco- Romano prevalse nell’interno, forse perché ribadito su quello ancor più antico degli indigeni Osci ed Opisci.

Una prova curiosa ce n’offre il dialetto Calabrese, in cui non solo spesseggiano le forme lessiche, ma fino le grammaticali dei Greci o dei Romani, e spesso anche d’amendue fuse insieme come accadde della razza ; cosi per es. :
mala panta e mala pasca () tutti i mali, è bestemmia composta di una parola Greca e di una Latina. – Cecrope per brutto è forse il solo vestigio vivente su quelle spiaggie della bizzar­ra leggenda Ciclopica d’Omero; così cotraro e ca­ruso (tosato) come il tosato e la tosa lombardi e la tota) ragazzo; ancilla () per vaso (e si noti che i vasi dell’acqua serbano la for­ma etrusca) pirricuni () per roccie; dede per torcie; nipio per bambino; sono avanzi del­l’Ellenismo, ma più ancora, quell’antichissimo Zirie, Zilia per semi di cotone, com’è detto a Roccella, ad Ardore, e che rammentando l’arcaico greco, attesta come fosse preromana in Italia la coltivazione del cotone, così dicasi del nome di pericolo () al convolvolus, di struga al solanum nigrum (). Crapio (concime), letame – Capanata (bastonata) (batto) – Ceramidi (tegole); – Catoio (luogo basso) (abito) – Vavula (steccato di pecore) (stalla).
Invece mancupatu per povero e meschino; craj per domani; tandu per allora; trapetu per moli­no; palmenta, idda, ista, est, sono pretti avan­zi latini.
A questa influenza Elleno-Romana essi vanno certamente debitori di quella singolare finitezza di modi che tu trovi anche nel più ineducato colono, e che ti fa credere, direbbe Heine, di parlare a Senatori Romani, vestiti alla villana. A questo io credo dover attribuire quel sale Attico, quella eleganza veramente meravigliosa delle loro canzoni popolari e dei loro proverbi, di cui daremo ora un saggio attinto direttamente alla fonte.

La Ciminiera Gennaio 2022