2004 novembre 23 – Nel cassetto delle memorie 02 – Antonio Palumbo (Catanzaro)

Nel cassetto delle memorie  02 –  Catanzaro

L’arte poetica di Antonio Palumbo

Il sodalizio ha organizzato una serata dedicata al poeta catanzarese

IL CENTRO STUDI “BRUTTIUM” RICORDA ANTONIO PALUMBO

di Franca Fortunato

ANTONIO PALUMBO, poeta catanzarese, nativo di Amalfi, maestro elementare a “La Maddalena”, morto il 29 settembre del 1985 a Catanzaro, è stato ricordato, martedì sera, attraverso le sue liriche, all’hotel Palace, dal Centro studi Bruttium.

A ricordare l’uomo, il poeta attraverso la lettura di alcune delle sue poesie erano presenti il saggista Antonio Anzani, la poetessa Bruna Filipppone, il docente Raoul Elia e il presidente del Centro, Pasquale Natali. A coordinare gli interventi, il saggista Ulderico Nisticò che, in apertura, ha voluto ricordare come l’iniziativa si inserisca nell’attività del Centro, volta a recuperare e riscoprire poeti locali meritevoli ma, ai più, sconosciuti o dimenticati. Il rapporto tra Antonio Palumbo e la cultura del `900 è stato presentato dal dottor Anzani, che ha parlato del poeta da amico che ha avuto la fortuna di conoscere e frequentare. Un ricordo personale, pertanto, il suo, di un uomo che era anche un poeta. Un uomo che Anzani incontrò, per la prima volta, nel 1961, quando giovane di 27 anni, arrivò a Catanzaro come Provveditore agli studi  «Palumbo era un uomo singolare ha ricordato Anzani modesto, discreto con una rete di relazioni culturali enorme. Uomo semplice, buono, colto e malinconico. In lui l’uomo e il poeta erano la stessa cosa». Insieme a lui e al dottore Domenioo Teti, costituirono l’Associazione letteraria con la rivista “Calabria letteraria” di cui Palumbo ne fu il redattore. Anzani ha concluso il ricordo dell’amico poeta, leggendo una sua poesia inedita, dedicata a Petrizzi a cui li legavano tanti ricordi comuni di incontri e discussioni letterarie. Palumbo poeta degli anni ’60, voce solitaria della poesia, libero navigatore nell’amore per la sua terra, le cui liriche ti avvolgono e ti seducono, è tornato, martedì sera, a vivere, nella sala, attraverso le parole, piene di amore, della poetessa Filippone, che per tutto il suo intervento, quasi per paura che l’abbandonasse, ha tenuto stretto a sè, accarezzandolo come una reliquia, il libro delle liriche del poeta  “Sul’orma del tuo corpo“, pubblicato nel 1971. Un libro di versi d’amore, dove “l’uomo innamorato sente le corde dell’amore fino al più profondo dell’animo. Parole di eros, di passione, di seduzione e fisicità per la donna amata”. Ma, Palumbo ha ricordato la poetessa è “anche il poeta che vive dell’amore cosmico, si apre al Signore come una preghiera”, ama la Calabria e la sua città, Catanzaro, a cui dedica bellissimi versi.

Poeta dell’amore, Palumbo è anche poeta della nostalgia, del tempo che scorre, e con lui  “si entra in un viaggio attraverso la malinconia, il tempo, la morte».

«Palumbo,  ha ricordato il professore Raoul Elia  con fatica e passione, ha imparato a scrivere poesie. Dietro i suoi versi c’è lo studio dei grandi uomini della letteratura come Dante, Pascoli e Leopardi, ne cita i loro versi, rivelando la capacità di avere capito quelli che l’hanno preceduto e di dialogare con loro. Caratteristica delle sue liriche, che trasmettono emozioni e sensazioni, è il tema della memoria a cui si lega il cimitero che lui chiama “la città dei morti”, “la città del dolore”. Il poeta è l’uomo dell’altrove che non vive mai nel presente ma nel passato, che è fonte di poesia. La memoria è importante come filtro della poesia e Palumbo ne è un lirico. Poeta della tristezza, della sofferenza, del dolore, della memoria del passato, della giovinezza, del tempo andato, Palumbo, è anche il poeta della vita quando parla dell’amore. Ed è nella lirica amorosa che rievoca i suoi maestri, li emula per dire il suo debito verso di loro”.

È con queste parole che il professore Elia ha concluso l’incontro per un poeta che merita di essere conosciuto e ricordato.

(Il Quotidiano – Catanzaro – Venerdì 26 novembre 2004)


“Quel Poeta così modesto, schivo, appartato che scriveva per se stesso” 

di Salvatore G. Santagata 

AVVIANDO, più di trentanni fa, la scrittura di una nota per i risvolti di copertina dell’ultima pubblicazione del poeta Antonio Palumbo (`Sull’orma del tuo corpo”; F.a t.a., Catanzaro, 1971) ripetevo un suo verso, contenuto nella poesia Handicap, ponendo l’interrogativo, là dove Palumbo aveva concluso con il punto fermo dell’affermazione:”Ora chi sogna è un imbecille“?

Me ne sono ricordato l’altra sera, a lido, mentre in una saletta del Palace, quattro illustri relatori, davanti un gruppetto di ascoltatori, parlavano, a distanza di ormai quasi vent’anni dalla morte, di Antonio Palumbo e della sua poesia nel vasto panorama della poesia del Novecento.

E mi chiedevo, ragionando con me stesso, se oggi, a distanza, di oltre trentenni, mi sarei determinato, a quell’affermazione di Palumbo, “Ora chi sogna è un imbecille“., a porre ancora l’interrogativo. Tutto quanto accaduto in questi oltre trent’anni spingerebbe per la risposta negativa. Oggi viviamo una globalizzazione totalizzante che annulla qualsiasi soggettività, per cui, il solo parlare di sognatori potrebbe apparire un non senso. Avevo, quindi, sbagliato a porre quel punto interrogativo all’affermazione di Palumbo? mi chiedevo, rientrando in auto verso casa.. La risposta andava cercata nelle sue poesie.

Con non poca fatica, nella mia ricca, ma tutt’altro che ordinata biblioteca, ho ripescato quel libro: copertina gialla, cun un bel disegno, in sanguinela, di Tony Pileggi, raffigurante un intenso amplesso, e, sotto, con caratteri antichi, il titolo: “Sull’orma del tuo corpo“.

E mi son messo a sfogliare a leggere, così trascorrendo alcune ore di grande serenità e di non pochi ricordi. Ho rivisto la minuscola redazione dell’agenzia di stampa, “Calabria Regione Informazione”; di cui ancora resiste la grande targa, accanto alla finestra di quell ammezzato di corso Mazzini, difronte al palazzo Fazzari, dove col compianto Renato Mantelli, per quasi un anno sfidammo le leggi dell’economia e della professione, producendo, quotidianamente, due foglietti di notizie che, per posta venivano diffuse in mille copie nella regione. E fu in quella sede che conobbi Palumbo. Veniva la sera, spesso con moglie e figlie, e ci aiutava a piegare e spillare per la spedizione e a scolmare le bottiglie di buon cognac che, con Renato, non ci facevamo mai mancare, già dalla mattina. Mentre spillavamo, Totò, così chiamavamo il poeta, a volte, dopo qualche bicchiere, recitava qualcuna della sue stupende liriche. Rileggendole ora, a distanza di trentenni, ne godo l’intima bellezza e penso che egli non ha avuto fortuna.

O forse, non si è saputo “vendere”; come, nell’era del mercato e della globalizzazione, bisognerebbe dire. Ma Antonio Palumbo era, più che modesto, schivo, appartato la negazione del poeta istrione ed invadente e, poi, non credo tenesse molto alla notorietà.

Scriveva, più per intima ragione e per se stesso,che per gli altri.

Però scriveva e gli scritti non si volatilizzano, non cessano di esistere con la morte del suo autore, anzi, ad esso sopravvivono e ne testimomano la grandezza dell’anima e la soavità della mente. Peccato che, in questa nostra terra, di poeti, santi, eroi e critici, nessuno abbia ancora riletto le poesie di Antonio Palumbo con l’attenzione che esse meritano. Il che conferma che la nostra è una regione senza storia e senza memoria. Onore e merito, quindi, al circolo “Il Bruttium”che ha organizzato questo ricordo.

E’ poeta colui, che, in ogni uomo vede se stesso”; scriveva il Palumbo. Allora, nel ’71, scrivendo quella nota per il risvolto di copertina del suo libro, mi ponevo l’interrogativo se fosse possibile vedere, in se stessi, il resto dell’umanità.

il Quotidiano – venerdì 26 novembre 2004 (Catanzaro)

Antonio Anzani


da sinistra: Bruna Filippone, Ulderico Nisticò, Antonio Anzani, Raoul Elia